
L’ART BRUT E L’OPERA DI JEAN-MICHEL BASQUIAT
DEBORA ZAFFARANO| ROMA 22 MAGGIO 2025
Che cos’è l’Art Brut? E cosa lega questa espressione artistica all’opera di Jean-Michel Basquiat, artista simbolo della New York degli anni Ottanta?
A prima vista sembrano mondi lontani: da un lato, un linguaggio artistico nato ai margini della società e del sistema dell’arte; dall’altro, un artista celebrato a livello internazionale, pienamente inserito nelle dinamiche del mercato e delle gallerie. Eppure, tra queste due realtà esistono punti di contatto che affondano le proprie radici nel desiderio condiviso di oltrepassare i confini dell’arte ufficiale per dar voce a qualcosa di più puro, autentico e incontaminato.
Il termine Art Brut si traduce letteralmente in “arte grezza”. Fu coniato nel 1945 dall’intellettuale e artista francese Jean Dubuffet (1901–1985) per definire una produzione artistica non convenzionale, priva di influenze culturali e accademiche, guidata da un’imperiosa necessità interiore. Le opere di questi autori nascono nell’intimità e nella segretezza del suo autore, come esito di condizioni di marginalità e isolamento. Nel loro gesto non vi è ricerca stilistica né uso di tecniche raffinate, ciò che emerge è piuttosto un bisogno profondo di esistere e di esprimersi. Secondo Dubuffet, l’arte più autentica non nasce nei musei, ma in luoghi inattesi, come negli ospedali psichiatrici, carceri, tra gli autodidatti e tra gli individui in condizione di esclusione sociale o psichica.
(© Ritratto di Jean Dubuffet: John Craven. Per gentile concessione dell’Archivio Fondation Dubuffet)
Nel suo tentativo di recuperare un’arte primitiva, Dubuffet rivolse uno sguardo attento anche agli ambienti urbani, in particolare ai graffiti sui muri cittadini. Quei segni grezzi, spesso anonimi e provocatori, gli apparivano come una forma di narrazione istantanea, affine a quella infantile o degli outsider. Tale visione trovò conferma nella scoperta delle fotografie di Brassaï (1899–1984), raccolte nel volume Graffiti (1961), frutto di oltre vent’anni di documentazione di volti stilizzati, animali, simboli astratti incisi o disegnati sui muri di Parigi. Alcuni dei quali confluirono nei Cahiers de l’Art Brut curati dallo stesso Dubuffet.
Accanto a queste forme di graffiti urbani, esemplare è anche il lavoro realizzato in un contesto di internamento da Fernando Oreste Nannetti (1927–1994), alias NOF4, che, con la fibbia metallica del panciotto della propria divisa, scalfì sul muro dell’ex Manicomio di Volterra una straordinaria testimonianza di scrittura automatica e visionaria, oggi considerato uno dei massimi esponenti dell’Art Brut in Italia.
(Brassaï, dalla serie “Graffiti” 1935-1950)
Qualche decennio più tardi, a New York, Jean-Michel Basquiat (1960–1988) iniziò il suo percorso artistico proprio dai graffiti. Alla fine degli anni Settanta si impose sulla scena tappezzando di vernice acrilica i muri degli edifici del centro di Manhattan con i suoi versi urbani enigmatici, firmati SAMO©, in collaborazione con l’amico Al Diaz. In breve tempo passò dai marciapiedi alle gallerie, diventando uno degli artisti più acclamati della sua generazione. Le sue dirompenti composizioni, popolate da simboli arcaici, parole spezzate, teschi, corpi frammentati e segni infantili, si configurano come mappe visive di un conflitto tanto individuale quanto collettivo, dense di rimandi all’immaginario urbano, alla cultura afroamericana e alla musica jazz, in aperta denuncia contro razzismo, disuguaglianze e società dei consumi.
È proprio in questo bisogno esistenziale e ossessivo di “urlare il mondo”, in un gesto unico e irrefrenabile, che l’arte di Basquiat richiama quella stessa forza espressiva che Dubuffet rintracciava nelle creazioni degli autori marginali.
Pur nella presenza di numerosi punti di contatto, esistono tuttavia differenze significative tra l’Art Brut e la produzione di Jean-Michel Basquiat. Una delle divergenze principali riguarda la consapevolezza artistica: gli autori dell’Art Brut, per definizione, non si riconoscono come artisti e spesso sono ignari del valore delle loro opere. Basquiat, al contrario, era perfettamente cosciente del proprio ruolo e agiva intenzionalmente all’interno del sistema dell’arte. La sua opera, pur mantenendo una cifra espressiva istintiva e grezza, è frutto di scelte deliberate e risente inevitabilmente dell’influenza della cultura del suo tempo, della società contemporanea e dei continui richiami alla storia dell’arte, con cui intrattiene un dialogo costante.
(Le iscrizioni di Nannetti sui muri dell’Ospedale psichiatrico di Volterra. Pier Nello Manoni, Collection de l’Art Brut, Lausanne)
Ciò non toglie che, come gli artisti brut, anche Basquiat fosse animato da un’urgenza interiore, da un richiamo profondo nel raccontare se stesso e la propria identità. In entrambi i casi, il loro gesto si configura come grido, denuncia, atto di resistenza. L’Art Brut e l’opera di Basquiat dimostrano che l’arte non ha bisogno di conformarsi ai canoni imposti dalla cultura o dalla società per essere autentica; spesso è proprio ai margini, nel disordine e nelle crepe dell’esperienza umana, che trova la sua forza più vera.
In asta: Jean-Michel Basquiat (1960-1988), Senza Titolo (1981), pennarello su carta (20,5×13 cm)