
L’ARTE A ROMA QUANDO GOVERNAVA LA FRANCIA
RIPANO EUPERINO|ROMA 4 APRILE 2025
“Un Pio perde’ la Sede per conservar la fede; un Pio perde’ la fede per conservar la Sede”
Così proclamava Pasquino ai romani riferendosi a Pio VI Braschi, morto nel 1799 prigioniero in esilio, e a Pio VII Chiaramonti che nel 1801 firmò un oneroso Concordato con Napoleone e partecipò alla successiva incoronazione ad imperatore nella chiesa di Notre Dame a Parigi.
Tutto questo però non fu sufficiente ed anche il secondo imolese nel 1808 dopo “il ratto” venne esiliato.
Non era male Roma in quel periodo prima che nel 1814 la restaurazione riportasse il governatore Francesco Cavalchini, con l’appoggio degli zelanti, alla sua vecchia carica. Il Monsignore fece subito mettere sulla via del Corso il palo per dare la corda ed il cavalletto con un gendarme fisso per far bastonare i cittadini anche per lievi mancanze. Solo il Cardinale Consalvi nella sua lunga, solitaria e perdente lotta contro la Curia e gli zelanti, riuscì ad attenuare la loro furia nella difesa di anacronistici privilegi).
(Incisione Bartolomeo Pinelli – Glorioso ritorno del Santo Padre a Roma, 1814)
A Roma, dipartimento dell’impero francese, si godeva di una grande libertà. Soprattutto gli artisti.
I giovani dediti all’arte vestivano nel modo cosiddetto alla Raffaello “calzoni aderenti alla gamba, eleganti coturni, giustacuore tagliato pressappoco alla foggia del Cinquecento, capelli lunghi e berretto tondo”. La mattina presto e fino a mezzogiorno lavoravano anche con i modelli. Dopo, i modelli si riposavano fino alle due e gli artisti andavano a mangiare tutti insieme in trattoria facendo tavolate divise per nazionalità. Quasi sempre si parlava d’arte. I tedeschi calmi e taciturni, gli spagnoli con supponenza, i francesi e gli italiani con conversazioni animate. A volte era tale la la foga di questi ultimi nel parteggiare per Camuccini o per il cav Landi che venivano alle mani. Nel pomeriggio alcuni seguitavano a lavorare, altri passeggiavano, ammiravano e studiavano le antichità fino alla cena di nuovo in trattoria.
Gli artisti e gli studenti stranieri avevano le loro Accademie nazionali. Pittori come Verstappen (Anversa 1771 – Roma 1853), Pierre Chauvin (Parigi 1774 – Roma 1832) o Voogd (Amsterdam 1768 – Roma 1839) o Ingres (Montauban 1780 – Parigi 1867) che a quell’epoca si atteneva alla maniera di David, o scultori come Thorvaldsen (Copenaghen 1770 – 1884), trovavano a Roma l’humus culturale per le loro opere.
(Bartolomeo Pinelli – La Canofiena in Roma, 1815)
Nella comunità degli artisti spiccavano personaggi come Bartolomeo Pinelli (Roma 1771 – 1835), alto con occhi incassati e nerissimi, capelli neri e lunghi portati come i briganti, vestiva con pantaloni lunghi e larghi e girava sempre con un grosso bastone e accompagnato da due mastini. Si poteva incontrare Pelagio Pelagi (Bologna 1775 – Torino 1860), presidente dell’Accademia italiana, grande prospettico e disegnatore, ma con poca forza nel colore o Tommaso Minardi (Faenza 1787 – Roma 1871) molto magro e veemente nella conversazione, con una grande fantasia, molto bravo nel disegno ma anche lui scarso con il colore.
Roma era quieta, ma l’Europa napoleonica in fiamme ed i ragazzi venivano chiamati alle armi. Dobbiamo ringraziare il principe Eugenio Beauharnais, che con un decreto esonerò i vincitori di premi artistici, se giovani come Francesco Hayez (Venezia 1791 – Milano 1882) o Gioachino Rossini (Pesaro 1792 _ Parigi 1868), la cui amicizia romana durò tutta la vita, non rischiarono di finire la loro vita su un campo di battaglia.
(Francesco Hayez, Autoritratto in gruppo di amici)
Hayez fu colpito, all’inizio del suo soggiorno romano, dalla differenza tra gli antichi maestri e la pittura veneta, quest’ultima caratterizzata da colori forti e luminosi. Dopo poco però si rese conto della mancanza di realismo del colore veneziano prefigurando così la sua vocazione romantica.
Al suo arrivo a Roma nel 1809 Hayez potè contare sulla protezione di Antonio Canova (Possagno 1757 – Venezia 1822) che in quell’epoca dominava la scena artistica romana. Presidente di tutti i musei romani aveva eseguito il monumento di Papa Rezzonico (Clemente XIII) in S. Pietro ed altre importantissime opere. Nel suo studio in vicolo delle Colonnette faceva i suoi modelli in creta. Diversi giovani sbozzavano il marmo e due scultori lo portavano ad un alto grado di lavorazione lasciando ancora uno spessore che poi Canova lavorava per ottenere i suoi capolavori.
In studio portava in testa un berretto di carta e quando riceveva teneva sempre in mano martello e scalpello. Parlava lavorando e interrompendo a tratti il lavoro.
Dopo il Congresso di Vienna ebbe da Papa Pio VII l’incarico di recuperare le opere rubate dai francesi. Assolse molto bene l’incarico. Il Papa lo nominò marchese d’Ischia.
(Antonio Canova – Monumento funebre di Clemente XIII)